Non c’è nulla di male nel desiderare. Il fraintendimento di alcuni insegnamenti della religione cristiana ci ha portato a collegare il concetto del desiderio con quello del peccato e del senso di colpa, ma questa non è l’unica lettura possibile. Come tutte le antiche tradizioni sapienziali, anche il Cristianesimo porta in sé un messaggio profondo che vuole illustrare, attraverso immagini e racconti evocativi, il significato del desiderio e del desiderare.
Perché iniziare da qui a parlare del desiderio? Perché il Cristianesimo è parte fondamentale delle nostre radici e del nostro inconscio culturale: ampliare i significati di ciò che ci è stato tramandato culturalmente ci apre nuove possibilità e consente di guardare anche alla nostra storia personale in modo differente.
A tutti noi, quando eravamo bambini, è stata raccontata la storia di Lucifero, il diavolo, o più letteralmente “il portatore di luce”. La tradizione lo dipinge come il più bello degli angeli, condannato agli inferi perché desiderava mostrare ancor di più la sua bellezza e la sua potenza. Il rischio a cui siamo esposti è di interpretare questa vicenda come un monito a volare basso, altrimenti qualche punizione si abbatterà su di noi. In questo senso il desiderio rischia di diventare sinonimo di peccato: è evidente come questa interpretazione risulti molto utile a controllare le persone, l’effetto che genera è infatti quello dell’autocontrollo esagerato, del senso di colpa e di impotenza.
Questa possibile interpretazione in realtà tradisce il valore prezioso di questo racconto, nato per parlare all’interiorità dell’essere umano di qualcosa di molto profondo. Avete presente il mito di Narciso che, specchiandosi nel lago, si innamora follemente della propria bellezza, impazzendo di desiderio? Non si sta parlando forse di qualcosa di simile?
Gli antichi ci stanno dicendo che il desiderio diventa una condanna quando ne diventiamo schiavi. Noi abbiamo trasformato queste storie in un giudizio morale sul desiderio invertendone il significato: queste storie ci mostrano che desiderare è umano, è diventarne schiavi che risulta una condanna.
Dal punto di vista della nostra Accademia di counseling, in ogni seminario trattiamo con modalità differenti il tema della relazione, portando l’attenzione alla qualità di relazione che abbiamo con il nostro mondo interno ed esterno. Per il desiderio vale lo stesso principio: è la relazione che abbiamo con i nostri desideri a determinare la qualità della nostra vita. Mantenendo l’intenzione di diventare abili counselor di noi stessi, le grandi tradizioni ci dicono che è necessario comprendere in profondità il meccanismo del desiderio: se è la relazione con i nostri desideri che ci porta ad esserne schiavi, come nasce questa schiavitù? Nasce dall’illusione che, una volta soddisfatti i nostri desideri, saremo felici e in pace. Non è così. La tradizione indiana ci consegna una bellissima metafora in merito. I desideri sono come foglie di un albero che, una volta tagliate, crescono più numerose: desiderare porta a desiderare ancora di più. Un desiderio soddisfatto spesso regala una soddisfazione transitoria e a volte nemmeno quella, se ci accorgiamo che le nostre aspettative sono state deluse. La soddisfazione non è felicità: la soddisfazione inizia e finisce, se la scambiamo per felicità ne avremo sempre bisogno, diventando schiavi del desiderio. Un alpinista sa bene cosa s’intende: nel desiderare di salire in cima alla montagna non c’è nulla di male, ma una volta in cima, si può solo scendere. La felicità è altro.
Le grandi tradizioni, attraverso i miti ed i racconti, mirano ad aumentare la consapevolezza del nostro percorso di crescita personale, sono tutte lì per noi: Lucifero cade negli inferi perché è il più luminoso o per il suo bisogno e brama di mostrarsi? Narciso cade nel lago a causa della sua bellezza o per la brama di possederla?
Non c’è nulla di sbagliato nel semplice atto di desiderare: le grande tradizioni ci ricordano che soddisfare i nostri desideri non ci renderà felici e che, se scambiamo la soddisfazione dei nostri desideri con la felicità, ci auto-condanniamo ad una sofferenza evitabile.
Facciamo un esempio di vita quotidiana. Luca è insoddisfatto della sua vita, vorrebbe che fosse diversa, vorrebbe un lavoro diverso ed una moglie diversa. Crede profondamente che se potesse lavorare come giornalista ed avere al proprio fianco una donna più sensibile ed attenta ai suoi bisogni, allora sarebbe davvero felice. Luca crede che la sua insoddisfazione profonda derivi dal fatto che la realtà non è così come la desidera. Mandando avanti di dieci anni il film della vita di Luca scopriamo che non ha cambiato lavoro e che si è innamorato di un’altra donna. Come si è trasformato il desiderio di Luca? Il desiderio di cambiare lavoro è rimasto frustrato, mentre l’incontro con la sua nuova compagna gli regala soddisfazione. Mandando avanti ancora un poco il nastro della sua vita scopriamo che anche la soddisfazione di trovato la donna perfetta si è sgretolata e Luca rimane con l’idea che forse non era la donna giusta, inoltre che quel lavoro proprio non gli si addice. La donna giusta dovrebbe ancora essere diversa… Chissà quando la troverà!
Capite l’inganno di Luca? Lui crede che la sua vita sia insoddisfacente perché la realtà non è come lui la desidera, ma in realtà è proprio il contrario! È questo l’inganno del desiderio: la sua vita risulta insoddisfacente perché Luca desidera la realtà diversa da quella che è, credendo che la felicità derivi dall’esterno. “Quando incontrerò quello che voglio, allora sarò felice!”: Questo è il suo motto! Con questa interpretazione Luca non impara nulla dal desiderio e non ne vede gli effetti deleteri nel presente! Proprio come non abbiamo imparato nulla dalle storie della mitologia antica, non impariamo nulla guardando la nostra storia.
Ecco un esercizio per tutti. Ogni volta che vi trovate a desiderare, per diventare consapevoli dei vostri desideri e dei loro effetti scrivete cosa volete e scrivete come dovrebbe essere la situazione perfetta, quella che finalmente genererebbe la vostra felicità. Costruite la vostra perfezione.
Per essere felice ho bisogno che …
Le cose dovrebbero andare così …
Dopo che avete scritto, chiedetevi
“Come sto mentre credo a queste cose? Come sto mentre credo che, per essere felice, ho bisogno di questo o di quello…? Come sto mentre credo che le cose dovrebbero andare così?”
Rispondete onestamente a queste domande e vi troverete ad un passo dall’aver svelato l’inganno della vostra mente: nell’attaccamento al desiderio di una realtà diversa risiede il vostro disagio; nella promessa di un benessere futuro, quando avrete realizzato il vostro desiderio, risiede l’inganno. Questa è un’illusione e, se la vedete come tale, come tutte le illusioni si dissolverà. Potete scegliere di cambiare la vostra vita, potete lavorare per un mondo migliore, ma senza l’illusione che quel mondo vi renderà felici: ne rimarrà che, mentre lo state costruendo, potete già realizzare la felicità che state cercando nel futuro.
Concludiamo con la poesia di Madre Teresa di Calcutta, che ci ricorda che non c’è momento migliore di questo per essere felici.
Non aspettare di finire l’università, di innamorarti, di trovare lavoro, di sposarti, di avere figli,
di vederli sistemati, di perdere quei dieci chili, che arrivi il venerdì sera o la domenica mattina, la primavera, l’estate, l’autunno o l’inverno.
Non c’è momento migliore di questo per essere felice.
La felicità è un percorso, non una destinazione.
Lavora come se non avessi bisogno di denaro, ama come se non ti avessero mai ferito e balla come se non ti vedesse nessuno.
Ricordati che la pelle avvizzisce, i capelli diventano bianchi e i giorni diventano anni.
Ma l’importante non cambia: la tua forza e la tua convinzione non hanno età.
Il tuo spirito è il piumino che tira via qualsiasi ragnatela.
Dietro ogni traguardo c’è una nuova partenza.
Dietro ogni risultato c’è un’altra sfida.
Finché sei vivo, sentiti vivo.
Vai avanti, anche quando tutti si aspettano che lasci perdere.